ACQUAVIVA DELLE FONTI,cultura e buon cibo





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Una cena rurale all’insegna del buon cibo e della biodiversità.

Qualche sera fa, in compagnia di una comunità di contadini di Acquaviva delle Fonti, ho trascorso alcune ore degustando prelibatezze locali, preparate in modo tradizionale, legate al rito della convivialità.

Non si è trattato di una mera degustazione enogastronomica, ma di conoscere e apprendere le tradizioni locali, i valori che regolano la vita degli agricoltori, ma soprattutto il rispetto per la natura, che negli anni è sempre stata così generosa nei loro confronti.

Gli agricoltori hanno investito tempo e forza lavoro per produrre una leguminosa che si sta diffondendo sul mercato internazionale, il “Cece nero”, prodotto identitario della Murgia Carsica, conosciuto sin dall’Ottocento agli anni Cinquanta, anche se in maniera ridotta nel tempo, il Cece nero è stato sempre utilizzato sulle tavole dei murgiani.

Il cece nero della Murgia Carsica è diverso, nella forma e nel colore, dal cece sultano comune: questo ecotipo locale ha una forma a chicco di mais, molto più piccola, con la buccia rugosa e irregolare, l’apice a forma di uncino, molto gustoso e ricchissimo di fibre (tre volte tanto la quantità presente in un cece comune) e di ferro. Grazie alla sua alta concentrazione di ferro, in passato era consigliato alle donne gravide.

Non ha mai avuto un mercato florido, poiché la sua buccia consistente richiede un tempo di ammollo di 12 ore e una cottura di circa due ore. Oggi grazie alla caparbietà di alcuni agricoltori del Presidio Slow Food che hanno messo a coltura, recuperando e promuovendo questa leguminosa distribuendola sul mercato nazionale, il Cece nero è sempre più richiesto nel rispetto del ciclo di semina e raccolta stagionale.

La produzione e’ sviluppata nei comuni di Acquaviva delle Fonti, Cassano delle Murge, Santeramo in Colle e comuni limitrofi (provincia di Bari).

Altro prodotto identitario è la “Cipolla Rossa” di Acquaviva, la coltivazione della cipolla è limitata alla stessa zona di Acquaviva, grazie alla presenza di acqua dolce che sgorga da una falda sotterranea perenne e alto contenuto nel terreno di potassio. Può essere utilizzata per diverse ricette, infatti le mani sapienti delle mogli degli agricoltori presenti, hanno preparato: un delizioso calzone con la cipolla rossa di Acquaviva, il patè di ceci neri e cipolla rossa, mostarda e creme di cipolla, trofie con cipolla essiccata, pronte all’uso aggiungendo semplicemente dell’acqua nella cottura.

Alla cena erano presenti il dott. Michele Polignieri referende Slow Food Condotta delle Murge e Vito Abrusci referente dei produttori del Presidio, il quale mi ha concesso un’intervista, tra sapori, odori e una calorosa accoglienza:

Essere custodi della memoria, della tradizione e della biodiversità oggi è una sfida?

«Certo che è un sfida, per fortuna nella sfida riusciamo a trovare contadini che credono nei valori della terra. Sostenerli ci gratifica e grazie anche Slow Food che con la filosofia “Il cibo buono e pulito”, rispecchia tali valori ancora molto radicati in questa gente».

Quanto incide sulla produzione e sul costo l’industria agroalimentare la quale detta leggi ormai sempre più mirate ad un prodotto omologato e non identitario?

«Tenga conto che il nostro tipo di operato è sulla terra ed è molto settoriale, l’incidenza sotto il profilo della quantità è irrisorio, sotto il profilo della qualità non ci sono paragoni».

Quanto è estesa la coltivazione di questa leguminosa?

Quest’anno avremo una decina di ettari a coltivazione di cece nero, con metodologia tradizionale, tutto manuale sia per la semina che per il raccolto».

Quali le prospettive per i giovani e quali gli obiettivi 2.0?

«Io penso che i giovani dovrebbero guardare con più attenzione all’agricoltura e i valori che ancora oggi cerca di trasmettere nel quotidiano, augurandoci che i giovani nell’abito di una sana alimentazione, nell’ambito del consumo, riescano a trasferire alle generazioni future quanto cerchiamo oggi di diffondere, un’educazione ad una vita più salubre».

Un lavoro agricolo ecosostenibile e nel rispetto della tradizione, incontra sicuramente notevoli problemi, quali?

«I sacrifici non trovano riscontro nella globalizzazione, però ripeto l’amore, la passione per l’identità legata a tutto ciò che il nostro territorio offre, per i valori sani, pagano l’impegno».

Slow Food tutela queste forme di colture e in che modo? Si potrebbe fare altro?

«Slow Food non solo tutela, ma ti salva nella comunicazione che solo lei sa fare, sia a livello territoriale che nazionale, attraverso orti in condotta, presidi sparsi per la nazione, l’arca del gusto, le comunità del cibo e progetti, che permettono il recupero di questa leguminosa, che sino a qualche tempo fa non si conoscevano le proprietà e l’utilizzo».

Che valenza ha sul mercato nazionale questa varietà di ceci?

«È un presidio che è stato nel 2008, molti non conoscevano questo cece, chi lo confondeva con semi di cipolla, capperi o addirittura semi di finocchi, quando poi l’abbiamo fatto degustare, in maniera tradizionale nella preparazione, si sono innamorati anche a livello meridionale, nazionale ed internazionale, abbiamo richiesta dal Belgio e dalla Germania, anche se le richieste non sono eccessive, dato che la metodologia di coltivazione e tutta manuale, anche se le richieste ci sono e cercheremo di accontentarle».

Questo tipo di coltura combatte la monocoltura, che il mercato ha imposto ai piccoli agricoltori. Quali i vantaggi?

«Questo tipo di monocoltura , non può essere coltivato in qualsiasi terreno, infatti si chiama della Murgia carsica, proprio perché a valle della Murgia ci sono terreni ricchi di potassio , perciò questa coltura può essere attuata solo in zone come la nostra. Perciò la richiesta di questo prodotto identitario non può che pervenire alle nostre aziende agricole».

 

 

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