“Beh? Non hai messo “mi piace”?”. La minaccia travestita da invito.





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Questa volta mi catapulto nel mio mondo professionale. D’accordo, forse il titolo è un po’ brusco. Tuttavia, spesso, la realtà valica i confini dell’immaginabile e dell’ammissibile. Nell’ era del “quanti like (o follower) hai sulla tua pagina?”, diventa sempre più difficile definire i confini tra quello che si auspicherebbe un percorso endemico di crescita e la forzatura di chi crede che, spingendo la barca di Caronte più violentemente, si possano trarre benefici immediati e tangibili. Carissimi lettori, mi dispiace dover abbattere l’eremo di certezze nel quale albergate senza cognizione. La comunicazione è una materia alquanto complessa. Non a caso, da una quindicina di anni a questa parte, sono nate nuove figure professionali atte allo sviluppo e implementazione di tecniche per una pacifica convivenza all’interno del marasma web. “Che c’entra! Adesso abbiamo bisogno di un professionista per qualche clic su una pagina che tutti riescono a utilizzare?” – asserzione piuttosto comune nel medio utente, debolmente abile a rinvigorire un concetto dannunziano di “superuomo”, in questo caso, del mondo virtuale. La facilità tecnica degli strumenti internet a nostra disposizione ha acuito, fortemente, la saccenza del profano nei confronti del sapiente. Tuttavia, esser riusciti a costruire un modellino di aeroplano, non ci rende ingegneri. Le dinamiche che intervengono nell’edificazione di un concetto di brand identity sono molteplici e la cattiva gestione delle infrastrutture in nostro possesso potrebbe, nel peggiore dei casi, parlando di attività, comunità, personaggio pubblico etc, determinare la morte non solo nel web, ma anche reale. L’esistenza fisica di un’attività ormai è direttamente proporzionale a quella virtuale. E’ un assioma imprescindibile, cari conservatori, convinti assertori del “passaparola” da bottega. Tutto  è, ovviamente, rapportato all’esigenza di crescita. Chi non ha obiettivi lungimiranti e gode dei benefici di 6-7 utenti-clienti, sicuramente non riconoscerà verità assoluta in queste righe, sebbene ci sia pur sempre un cambio generazionale da prevedere, anche nei 6-7 utenti … ma questa è un’altra storia. L’invito spasmo-compulsivo di alcuni personaggi, a mezzo chat privata, sms, link etc, a esprimere gradimento con il like, è una delle attività più deprecate per chi si occupa della materia comunicazione:  trattasi di “accattonaggio”. E’ una delle azioni che necessitano di attenta cogitazione. Se la pagina per la quale invito a esprimere gradimento ha per oggetto una rock band, difficilmente potrei trovare riscontro in chi so (o analizzo) sia più propenso alla musica da camera. D’altronde, riflettiamo un solo istante. Perché io dovrei esprimere il mio like/follow per qualcuno o qualcosa per il quale non nutro alcun interesse? Qualora lo esprimessi anche sulla scia della minaccia: <<Beh, allora? Non hai messo il like?>>, dopo 15 minuti di religioso silenzio intercorsi tra quest’ultimo invito e quello precedente, sarebbe un like ugualmente vano. Non vi sarà mai da parte mia coinvolgimento (engagement) su questo argomento e, pertanto, non sarò mai mossa dalla volontà di divulgare o condividere quei contenuti. Per di più, ammettiamolo, l’autore di quella minaccia non farebbe proprio una bella figura, anzi, tale pratica potrebbe danneggiarne pesantemente la reputazione. Ma allora come si fa? Apriamo un account col nome “Pizzeria da Pasquale” e chiediamo tante non- amicizie? Per carità, sarebbe una catastrofe! Dobbiamo produrre contenuti di qualità che fungano da amo verso il potenziale pubblico che vogliamo far convogliare sulla nostra pagina. Cosa significa? Un’attività in disuso: studere, studere, studere…  Parleremo anche di questo prossimamente.

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