PAPINI, LA QUALITA’ SALVERA’ LA COMUNICAZIONE





PAPINI

Esperienze di vita e carriere brillanti. Professionisti nel settore seduti non dietro la cattedra, ma in maniera più confidenziale, davanti alla stessa perché, in un momento di crisi, ci si guarda onestamente negli occhi e si cerca di fare autocritica, di ascoltarsi e trovare soluzioni.

Di seguito l’intervista ad Alessandro Papini, Direttore Comunicazione e Relazioni Internazionali Provincia di Milano, che accende un barlume di speranza usando, nella ricetta della buona comunicazione, un ingrediente tanto ovvio, quanto spesso dimenticato: il fattore qualità.

Gli abbiamo chiesto che senso abbia un Festival della Comunicazione, quanto possa essere utile organizzare un meeting tra professionisti, nuovi avventurieri della comunicazione a tutto tondo e semplici lettori, giunti per incontrare coloro che fanno profumare d’inchiostro le pagine dei giornali, riempiono il web o entrano nelle nostre case attraverso le tv.

“Ha una funzione straordinaria – dichiara Papini, che aggiunge – è evento in controtendenza. In un momento in cui la comunicazione istituzionale vive la sua crisi più profonda, costruire luoghi di dibattito e confronto, per ridare significato alla funzione comunicativa delle istituzioni, è un’ambizione giusta”.

Il Festival della Comunicazione e dell’Informazione. Una due giorni di confronto, dunque, ma anche di autocritica degli “addetti ai lavori” e di possibilità di fare rete, creare sinergie tra professionisti, ma anche con le nuove professionalità che si affacciano e si affermano nel panorama della comunicazione.

“È molto importante fare rete, mettere a confronto le diverse funzionalità del giornalista, del comunicatore, social media manager, tutte quelle figure professionali che stanno andando a integrarsi, ad ibridarsi. Il confronto è crescita e che ci siano luoghi in cui l’autocritica è indotta è fondamentale. Questo festival è uno di quei luoghi”.

Come tutti i settori, in questo momento storico, si avverte la crisi. Comunicare diventa un punto fermo per l’uomo sociale, ma si rivela quotidianamente una scommessa.

“La categoria novecentesca del giornalista non esiste più. Non ci sono più editori puri, l’editoria transita al digitale, è cambiata la meccanica della comunicazione per cui il giornalista deve, osservando ai nuovi ambienti della comunicazione, diventare poliedrico. Questa capacità è la chiave utile ad interpretare la funzione informativa del futuro sui linguaggi, gli strumenti, l’interpretazione dei messaggi alla luce delle superfici su cui si va ad operare”.

Alla due giorni che fa ancora parlare di sé erano presenti, come detto in apertura, professionisti e “nuove leve” della comunicazione, generazioni cresciute nel mondo dell’informazione e del servizio con strumenti e modalità di operare molto diverse tra loro che, però, si trovano ad interagire per passarsi la metaforica staffetta della diffusione dei messaggi. Sorge spontaneo chiedersi cosa i giovani debbano aspettarsi e come devono orientarsi in questo universo.

“Cominciare subito, ovviamente. Poi puntare sulla competenza. Sono convinto che il punto di forza sta nella qualità, la rapidità non vincerà mai su essa. Ci sarà sempre qualcuno più veloce, un’informazione data bene ha la sua autorevolezza ed è a quello che, maggiormente, bisogna mirare. Credo si possa ancora investire in questo servizio. La questione “formazione e gavetta” è una questione complessa, attuale, reale. Bisogna tenere duro, lavorare bene, distinguersi nel mare di proposte. Bisogna avere pazienza, molta più di una volta, ma chi ne è capace riesce”.

Commenti

Commenti


Condividi